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La rabbia. Funzione, Genesi e Gestione – Psicoterapia a Roma

LA RABBIA E LA SUA FUNZIONE

La rabbia rappresenta una delle principali emozioni di base che l’individuo può sperimentare di fronte ad una determinata esperienza che sta vivendo. E’ filogeneticamente determinata: questo significa che essa ha una base innata ed una funzione che permette all’individuo che la prova di adattarsi e di sopravvivere all’ambiente.

Sebbene molto spesso la rabbia venga concepita come sinonimo di aggressività e di violenza, assumendo così una connotazione prettamente negativa, di fatto essa assolve un ruolo molto importante nella vita della persona, in quanto segnala la violazione dei propri diritti o la presenza di un ostacolo al raggiungimento di obiettivi personali. In questo senso, dunque, la rabbia va intesa come un campanello d’allarme che avvisa chi la sperimenta che qualcosa o qualcuno gli sta arrecando un danno, ostacolando nel raggiungimento di uno scopo o esponendo ad un’ingiustizia.

La rabbia assolve, inoltre, la funzione di preparare all’azione, attivando nell’organismo una serie di modificazioni fisiologiche che dispongono ad organizzare una serie di comportamenti mirati alla rimozione dell’ingiustizia e/o del danno che si percepisce di aver subito.

La comunicazione verbale e non-verbale (mimica facciale e postura) della propria rabbia influenza e condiziona il comportamento degli altri, favorendo in loro la possibilità di prendere consapevolezza delle proprie azioni (ingiustizia e/o danno provocato) ed eventualmente agire per recuperare la situazione. L’uso adattivo della rabbia implica, pertanto, la capacità di esprimere pensieri, bisogni ed emozioni riguardanti il vissuto di danno e/o di ingiustizia che si percepisce di aver subito in modo funzionale e costruttivo, senza ferire i sentimenti altrui, attivare un conflitto o generare la rottura della relazione.

IL PROCESSO DI GENESI DELLA RABBIA

Quando si subisce un torto, si è vittima di un’ingiustizia o si diviene oggetto gratuito di offese e recriminazioni, si sperimentano sentimenti negativi la cui natura è strettamente legata alle caratteristiche personologiche soggettive: chi ha la tendenza a far implodere le emozioni negative, in circostanze come queste è più probabile che sperimenti sentimenti di inadeguatezza o di colpa; chi, invece, è più propenso a lasciarle esplodere, è carente di autoregolazione o ha qualche difficoltà nella gestione degli impulsi, molto probabilmente sarà portato a sperimentare sentimenti di rabbia, talvolta anche agita attraverso comportamenti palesemente ostili ed aggressivi.

L’intensità di questi vissuti, inoltre, appare strettamente correlata non solo all’entità del danno subito ed agli aspetti situazionali contingenti, ma anche alla personalità di chi ha subito il danno. Chi, per vicissitudini personali o familiari, è particolarmente sensibile al sentimento di ingiustizia o di danno subito, sarà tendenzialmente portato a vivere tali situazioni con valenze talmente drammatiche, che talvolta assumono connotazioni di tipo traumatico.

La rabbia intesa come risposta emotiva si origina a partire da fattori scatenanti (stimoli, eventi, situazioni, comportamenti) che vengono valutati come ingiusti o dannosi ed a cui si attribuisce, dunque, un significato di tale natura. E’ proprio questa valutazione e l’attribuzione di un significato negativo a ciò che si vive che innescano una reazione emozionale di rabbia, appunto, ed il conseguente impulso all’azione, per effetto del quale viene messo in atto un comportamento corrispondente.

Elementi che costituiscono il processo emozionale della rabbia:

Fattori scatenanti

La rabbia si innesca in risposta ad alcuni stimoli che possono essere interni e/o esterni all’individuo:

  • Essere vittima di torti o di ingiustizie
  • Essere minacciati fisicamente o verbalmente
  • Essere trattati male o essere costretti a fare qualcosa contro la propria volontà
  • Essere insultati
  • Essere traditi
  • Essere usati
  • Essere derubati
  • Perdere la propria posizione o il proprio potere
  • Perdere il rispetto
  • Vedere fallire i propri progetti.

Valutazioni ed attribuzioni di significato

Gli stimoli o gli eventi scatenanti la rabbia vengono valutati come ingiusti o dannosi alla propria persona ed assumono la forma di pensieri, credenze, giudizi ed attribuzione di significato circa l’esperienza che si subisce:

  • Sentire di essere stato trattato ingiustamente
  • Pensare di non meritare il trattamento ricevuto
  • Credere che le cose sarebbero dovute andare diversamente
  • Giudicare sbagliato o ingiusto ciò che ci sta accadendo
  • Ritenere di essere stati danneggiati
  • Sentire di essere stati svalutati, criticati, insultati o attaccati senza una valida ragione
  • Pensare che l’altro abbia invaso il nostro spazio vitale

Espressione della rabbia

Eventi, situazioni o comportamenti giudicati dal soggetto come esperienze di ingiustizia o danno producono reazioni di rabbia. Come tutte le altre emozioni, anche la rabbia implica l’attivazione di strutture celebrali specifiche e di modificazioni fisiologiche che servono a predisporre l’individuo all’azione.

In questo senso, la rabbia è contraddistinta da alcune componenti riconoscibili in tutti gli individui che la sperimentano:

  • modificazioni somatiche: aumento della tensione muscolare e della temperatura corporea, aumento della pressione arteriosa e dell’irrorazione dei vasi sanguigni periferici, accelerazione della frequenza cardiaca;
  • sensazioni e percezioni soggettive delle modificazioni che avvengono nel corpo, come quella di esplodere, di essere fuori controllo, di apparire irrequieti;
  • espressioni mimiche e posturali: volto arrossato e teso, aggrottamento della fronte e delle sopracciglia, denti digrignati in modalità ostile, pugni serrati

Impulso all’azione

Sotto la spinta della rabbia e dei cambiamenti fisiologici associati ad essa, il soggetto percepisce l’impulso ad attaccare e si prepara all’azione promuovendo comportamenti mirati alla protezione dall’ingiustizia o dal danno che ha percepito di subire. Quando il processo emozionale della rabbia è ben regolato, l’individuo è in grado di adattare la sua risposta comportamentale alla situazione specifica e al contesto in cui è inserito.

LA RABBIA DISFUNZIONALE

In linea generare si può parlare di una rabbia disfunzionale quando la sua manifestazione crea sofferenza sia sul piano individuale che su quello interpersonale, oppure quando compromette le relazioni sociali e spinge a compiere azioni dannose verso persone o cose.

Nello specifico, la rabbia si può definire disfunzionale quando:

  • è troppo intensa rispetto al motivo che la scatena
  • non è collegabile ad un fattore scatenante
  • è persistente anche dopo che è stato allontanato il motivo scatenante
  • è accompagnata da rimuginazioni
  • produce comportamenti aggressivi e pericolosi verso sé, gli altri e gli oggetti
  • causa l’allontanamento di persone che ci circondano.

Quando la rabbia manifesta tali caratteristiche siamo di fronte ad un quadro di disregolazione e di discontrollo emotivi.

Esiste, poi, una situazione diametralmente opposta caratterizzata da inibizione e soppressione della rabbia, che si contraddistingue per una ridotta o quasi inesistente percezione di tale emozione. In queste circostanze, la persona non riconoscere i segnali identificativi della propria rabbia oppure tende a sopprimerne l’espressione manifesta. Anche questo quadro può essere definito come disfunzionale, in quanto l’inibizione della rabbia impedisce all’individuo di organizzare comportamenti che potrebbero proteggerlo dal danno o dall’ingiustizia che percepisce di subire e, con il passare del tempo, il soggetto potrebbe adottare un atteggiamento di ipercontrollo delle esperienze che generano rabbia, predisponendosi ad una modalità comportamentale tendenzialmente passiva e improntata sull’impotenza.

In questo secondo quadro, la rabbia può essere considerata disfunzionale se:

  • è troppo lieve o quasi inesistente rispetto al motivo che la scatena
  • non permette di individuare il fattore di danno/ingiustizia subito
  • produce comportamenti che non predispongono alla protezione di sé stessi e alla limitazione del danno
  • anche se motivata, è accompagnata da emozioni e pensieri negativi (ansia, colpa, vergogna).

GESTIONE DELLA RABBIA

Gestire la rabbia non significa controllarla o inibirla, ma piuttosto modularla in modo da organizzare esperienze e risposte comportamentali adeguate allo specifico contesto in cui l’emozione si attiva.

Le strategie di regolazione della rabbia possono applicarsi su ogni elemento del processo emozionale: si può agire, ad esempio, sulla ristrutturazione della valutazione e del significato attribuiti all’evento scatenante la rabbia, sulla modalità con cui viene esperita la rabbia (durata e intensità), sull’impulso all’azione o sulla messa in atto del comportamento corrispondente. Per questo motivo, esistono diversi tipi di interventi psicologici che possono essere utilizzarti per favorire il processo di gestione della rabbia; essi possono focalizzarsi sia sul processo emozionale nel suo insieme, sia sui singoli elementi che lo costituiscono.

Fra i più efficaci si evidenzia la psicoterapia individuale ad orientamento cognitivo-comportamentale:

il trattamento della rabbia secondo un’ottica cognitivo-comportamentale si fonda sul principio che lo stato emotivo che la persona sperimenta è determinato dal significato personale che attribuisce agli eventi che vive e che il comportamento che mette in atto si basa sullo stesso processo di pensiero con cui valuta quegli eventi.

In questo senso, sono le “rappresentazioni mentali” dell’individuo (pensieri, convinzioni, schemi, processi) a spiegare il suo vissuto psicologico e, di conseguenza, sono le “distorsioni cognitive” a causare il suo malessere psicologico, frutto di pensieri, credenze, schemi e processi disfunzionali.

La terapia cognitiva si avvale dell’analisi della relazione fra pensieri, emozioni e comportamenti per spiegare il disagio emotivo ed il suo perpetuarsi nel tempo, nonché di numerose tecniche finalizzate a modificare i processi cognitivi disfunzionali e a migliorare le capacità di gestione delle emozioni negative.

Alla luce di quanto detto, la psicoterapia cognitivo-comportamentale utilizza l’intervento sulla variabile cognitiva come strumento principale di cambiamento. Lo scopo della terapia è aiutare il paziente a riconoscere i pensieri, le credenze, gli schemi ed processi cognitivi disfunzionali che si attivano in lui nell’interpretazione degli eventi che vive (subire un’ingiustizia o un danno), per poi disputarli e modificarli, in quanto è da essi che si originano le reazioni emotive negative ed i conseguenti comportamenti problematici. La parte finale della terapia comporta la generazione di credenze alternative a quelle riconosciute dal paziente come disfunzionali e la loro messa in pratica nelle situazioni in cui viene sperimentata rabbia.

All’interno del processo terapeutico, si evidenzia il ricorso ad alcune tecniche particolari, il cui utilizzo promuove la modulazione della rabbia e l’apprendimento di nuove competenze per fronteggiare situazione conflittuali:

  • la ristrutturazione cognitiva: consiste in un intervento terapeutico focalizzato sulla modificazione di tutte quelle convinzioni negative che si riferiscono al mondo esterno ed a sé stessi e che amplificano reazioni di rabbia. Il fine è quello di promuovere cambiamenti nel modo di pensare e di valutare gli eventi e che questo, a sua volta, favorisca la modulazione delle emozioni e dei comportamenti disfunzionali, ritenuti problematici e fonte di malessere per l’individuo.
  • il problem solving: consiste nell’individuazione di strategie finalizzate alla gestione di situazioni che possono generare reazioni di rabbia. In questo senso, spostando l’attenzione dalle cause che determinano il problema alle sue possibili soluzioni, la rabbia si riduce ed il senso di autoefficacia si potenzia. Il paziente acquista la capacità di individuare ed applicare le strategie di coping più funzionali alla risoluzione delle condizioni critiche o conflittuali che sta sperimentando.
  • le tecniche di esposizione e blocco delle tendenze comportamentali associate alle emozioni problematiche: in questo tipo di trattamento, il paziente viene gradualmente esposto a sperimentare l’emozione problematica (nel nostro caso, la rabbia) e, contemporaneamente, viene aiutato a bloccare la tendenza a produrre risposte disfunzionali, ostili o aggressive. Quando invece il soggetto manifesta il timore di esprimere la rabbia, l’intervento mira a bloccare il comportamento di evitamento della manifestazione emotiva e a disinibire tale esperienza. All’interno della procedura di esposizione, può essere utilizzato un metodo specifico che va ad agire direttamente sull’espressione della mimica delle emozioni: esso si caratterizza per un insieme di procedure di modificazione delle espressioni facciali e degli atteggiamenti posturali che hanno un effetto regolatore dell’intensità e della durata delle emozioni. In questo senso, si è osservato che l’assunzione di una mimica facciale o di una postura di rilassamento, in opposizione alla tensione determinata dalla rabbia, può ridurne l’intensità e la durata.

IL SENTIMENTO DI IMPOTENZA ED IL DESIDERIO DI VENDETTA

Non di rado i vissuti negativi di chi subisce un torto si associano ad un’insaziabile desiderio di vendetta. Chi si dimostra indegno della nostra fiducia, tradendola deliberatamente senza alcun pentimento, chi ci trasforma nostro malgrado in bersaglio delle proprie frustrazioni riversando su di noi offese gratuite e immeritate, chi volontariamente si attiva per procurarci un danno, spesso diviene protagonista assoluto delle nostre fantasie di rivalsa.

Si vorrebbe punire l’altro, affinché sperimenti la stessa sofferenza che ci ha inflitto.

Il desiderio che l’altro subisca lo stesso danno che abbiamo subito noi (se non anche peggiore) diviene nel nostro immaginario l’unico modo per appagare quell’insaziabile sete di vendetta che si è appropriata dei nostri pensieri, nonché l’unica strada per riappropriarsi di quella serenità e di quell’equilibrio emotivo di cui l’altro ci ha ingiustamente privato.

Un vecchio proverbio recita che “Il desiderio di vendetta altro non è che una confessione di dolore”; esso si configura, quindi, come una difesa arcaica con cui inconsciamente cerchiamo di difenderci dalla sofferenza che ci è stata procurata. Tale sentimento, se sperimentato in prossimità dell’evento, non solo non ha alcuna valenza patologica, ma può addirittura essere considerato un passaggio indispensabile nel processo di elaborazione del dolore che ci è stato inferto.

Quando invece il sentimento di rivalsa si traduce in pensieri pervasivi e ossessivi, si rischia di restare intrappolati in una situazione doppiamente dolorosa: è come se, paradossalmente, si divenisse dipendenti psicologicamente dall’altro e dal suo grado di infelicità, bloccati in una spirale cognitiva ed emotiva in cui tutte le energie e le risorse interiori che dovremmo mobilitare per risanare la ferita emotiva che ci è stata ingiustamente inferta, vengano assorbite dall’infruttuoso pensiero di punire l’altro.

In questi casi, se il sentimento di rivalsa dovesse perdurare fino a monopolizzare in modo quasi esclusivo il nostro mondo fantasmatico, potrebbe condurre a conseguenze persino peggiori di quelle direttamente correlate alla ferita emotiva. Numerose ricerche cliniche hanno infatti dimostrato la stretta correlazione tra il cristallizzarsi di pensieri e di intenti di natura vendicativa e la difficoltà ad elaborare e superare un evento traumatico, nonché l’aumento delle probabilità che compaiano quadri sintomatologici caratterizzati da disturbi del sonno o del comportamento alimentare, sintomi psicosomatici e/o ansioso–depressivi.

Come è possibile, allora, uscire dalla prigione in cui il sentimento di ingiustizia fa da carceriere e la sete di vendetta rappresenta la pena da scontare?

Partendo dal presupposto che il desiderio di vendetta è figlio del vissuto di impotenza (intriso a sua volta di rabbia) che sperimentiamo quando sentiamo di aver subito ingiustamente ed immeritatamente un torto, tanto più le fantasie di vendetta verso chi ci ha ferito sono cariche di odio, di rancore e di aggressività, tanto più è intenso e paralizzante il vissuto di impotenza sottostante.

A partire da questo, si può scegliere quindi se continuare a dare carburante alle proprie fantasie più ciniche e violente, mobilitando energie utili e bloccando le risorse personali a beneficio di un sollievo temporaneo e illusorio, oppure se concentrarsi su quel vissuto di impotenza così difficile da tollerare e provare a trasformarlo in una preziosa occasione di crescita personale.

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